IL SOSIA
Un Uomo – il Mendicante Nudo

liberamente tratto da
IL SOSIA
di Feodor Dostoevskji

secondo spettacolo della trilogia SCANDALOSI EROI

con
Marco Zappalaglio
ed
Enzo G. Cecchi

riscrittura drammaturgica, scenografia e regia
Enzo G. Cecchi

consulenza musicale
Emanuele Giovanni Mandelli

21-22-23 febbraio 2002
Prima nazionale
Teatro G. Galilei, Romanengo (CR)


Un anonimo impiegato di S. Pietroburgo, Goljadkin (cognome che sta ad indicare “mendicante nudo”), quasi un Sancho Panza che si crede Don Chisciotte, affitta una carrozza azzurra, stivali nuovi e livrea per il domestico e “cocchiere vai rotola questa tua carrozza lungo la prospettiva Nevskij”.  Baldanzoso e spavaldo gira per negozi e bar, intravede un suo superiore, ma “è inutile che mi guardi, non sono io”- “mi serviva una carrozza, l’ ho noleggiata”. In attesa del pomeriggio e di un pranzo molto importante in una casa molto importante. Gradinata illuminata e rumori di festa e il nostro personaggio, non si sa se invitato o no, viene bloccato sulla porta e rimandato indietro. “Se riesco resisto, se non riesco persisto”, in lui l’umiliazione lascia il posto alla esaltazione. Riesce così ad entrare nella dispensa della casa e spiare dentro il salone finché un incidente lo fa precipitare nel bel mezzo della festa.

Fra consapevolezza ed incoscienza (come non pensare alle pagine di “L’Idiota” in cui il principe Myskin cade in preda al proprio male nella festa che doveva sancire un fidanzamento?),”buona serata a tutti, non smettete di ballare per me, perché quell’uomo urla che gli ho pestato i piedi?”, Goljadkin  viene sbattuto fuori. Non si può dire che ora inizi una sorte di calvario per il nostro protagonista, dato che il “calvario” è già iniziato, ma qua ci sono pagine meravigliose in cui Goljadkin, ebbro di umiliazione, dolore e solitudine, gira per le strade e sopra i ponti con la voglia di buttarsi. Nel gelo della notte di S. Pietroburgo.

Qua a conclusione della prima giornata, arriva l’altro. Un passante qualsiasi che compare e scompare fino ad affiancarsi al protagonista e superarlo nella corsa per arrivare a casa. L’altro che si veste e si chiama come Goljadkin ed è uguale  a lui da sembrarne il gemello, da innocuo e forse amico diventa sempre più subdolo e nemico fino a danzare irrispettoso attorno alla carrozza che alla fine del quarto giorno porterà il primo e vero Goljadkin definitivamente in ospedale. Solo all’inizio e alla fine del romanzo compare il medico. Prima come “oggetto di sfogo da presa di posizione” ed infine come  torturatore. Per il resto Dostoevskji non parla mai di malattia. Sono sufficienti le azioni e gli stati d’animo del personaggio e del suo doppio che da buffo e simpatico diventa poi furfante ed imbroglione.Con gli occhi di oggi possiamo parlare di un uomo, uno dei tanti di noi, che pur con determinati segnali, può precipitare improvvisamente dall’altra parte. Un mendicante nudo come suggerisce il cognome, un mendicante di vita spogliato delle proprie difese e mediazioni che inciampa in una serie di incidenti.

Nello spettacolo , il personaggio – interpretato da Marco Zappalaglio - ,  è un grigio signore non raffinato né intellettuale, involontariamente comico a volte, spesso febbricitante e ubriaco  di parole che alterna consapevolezza ed incoscienza, esaltazione e dolore. Mai malattia o malinconia. L’altro, interpretato da Enzo G. Cecchi, è presente in una sorta di prologo (30 minuti previsti fra l’entrata del pubblico e l’inizio dello spettacolo) intento a costruire e montare la scena e la trappola. Poi diventa il non visibile manovratore delle scene sempre in movimento ed infine si presenta quasi capitato per caso, un po’ sbruffone e simpatico fino a mostrare, annoiato e sorridente, la sua vera faccia. Il primo, il vero Goljadkin, è la realtà della presenza fisica  e delle parole, l’altro, il doppio, diventa nel nostro spettacolo e con leggerezza, la visualizzazione  di diversi archetipi che stanno ad indicare il male del cuore e della mente. Il lavoro ha previsto diversi piani di intervento. Da una  parte la creazione del personaggio che si voleva vero e leggero non stereotipo di nessuno neanche fotocopia  delle sviscerazioni psicologiche dell’attore. Tabula rasa all’inizio di qualsiasi sensazione e solo le parole da dire in continuazione e soppesando lettera per lettera fino allo stordimento alla febbre e alla esasperazione. Battaglia a distanza sempre e solo con le parole e i silenzi fra l’attore e il regista. Pulitura di qualsiasi eccesso per la ricerca di un equilibrio sempre precario. E una battaglia fra l’attore e il nulla dato che gli oggetti e le scene e pure il regista  scomparivano letteralmente , per poi ricomparire improvvisamente da un’altra parte.
Così è nato Goljadkin.

Il secondo piano di intervento è stato quello delle scene, Pannelli lievi dipinti con colori caldi, autunnali, pur spezzati a volte da un barlume di luce o da un rosso molto più cupo. Pronti a volare cadere o scomparire. E a lasciare il posto infine al bianco assoluto e al ghiaccio. Scene belle e ossessive come un quadro troppo bello per rimanere immutato. Come il vento che fa muovere i tendaggi o i fogli di un libro in un film di Paradjanov… O come il vento caldo che precede sempre una distruzione. Il terzo piano riguarda le musiche, inusuali e forti scelte in collaborazione con Giovanni Emanuele Mandelli. Un’altra e parallela scrittura drammaturgica per fornire a volte una andatura ritmica, una scossa o una esplosione. Ed infine l’altro, il sosia , che tutto sa, tutto ha visto, concertato e manovrato da non avere bisogno di parole, ma solo di penombre e di silenzi.


ENZO G. CECCHI





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