LA MIA TERRA BRUCIATA DI SALE

testo e regia
ENZO G. CECCHI

con
Marco Zappalaglio ed Enzo Cecchi

oggetti
Lopatriello/Zappalaglio

musiche da
"La Wally" di Catalani dal film "Diva", Francesco Messina

Produzione
Piccolo Parallelo

Prima rappresentazione: Teatro Comunale di Calderara di Reno (Bo) - 15 gennaio 1986



DALLA SCHEDA DELLO SPETTACOLO


“Un uomo viene licenziato, ha trenta anni. Ha iniziato a lavorare con i pantaloni cor­ti, sono passati 15 anni e si ritrova adulto e isolato. Non si adatta al nuovo ritmo di vita, non si adatta ad essere considerato e a sentirsi un escluso. Dopo alcuni mesi in cui ha cercato altre possibilità di lavoro e di vita e dopo un colloquio telefonico in cui ribadisce di sentirsi come un sacco vuoto, decide di suicidarsi. Lava e profuma il proprio corpo e si getta nel tetto di casa. La morte di questo uomo non è un "nor­male caso di suicidio", è uno di quei casi che sono stati definiti "suicidi di fabbri­ca"... "Non emettiamo giudizi - d'altronde impliciti nell'argomento - ci interessava l'uomo, il suo dramma interiorizzato e il suo corpo (così attento ai cambiamenti e così carne)..." L'ipotesi di fondo - il suicidio - non è una nostra soluzione dramma­turgica, ma il dato di fatto da cui siamo partiti... "In un deserto occupato da segnali che ricordano una casa ed una fabbrica vive la disperazione di un uomo. Dispera­zione sottile, leggera, discreta, mai urlata, quasi vergognosa di sé e imponente. Dopo il suicidio non rimarrà nulla. Il sale brucerà tutto...".


RILIEVI


Con questo spettacolo "improponibile" nato dalla disperazione e dai tanti pianti che ci bloccavano lo stomaco ci presentammo a Santarcangelo. Non avevamo niente da perdere, senza soldi senza lavoro e senza prospettive, ne ci interessava mediare più nulla. Scegliemmo a partire da "La mia terra..." di essere fuori da tutto e diversi fino in fondo e di scrivere e rappresentare noi e come meglio ci pareva, le storie che ci interessavano. Rispetto ad allora siamo meno poveri, l'ingenuità ha ceduto forse il posto al disincanto e la rabbia all'isolamento, ma è rimasta la coc­ciuta ostinazione della coerenza.


NOTE DI REGIA


Per costruire lo spettacolo ci sono state di aiuto informazioni ricevute dal quotidia­no "II Manifesto" - praticamente l'unico a trattare ampiamente questo fenomeno - e l'osservazione diretta di parenti o amici che erano rimasti coinvolti in licenzia­menti o mandati in cassaintegrazione. È stata meno difficile una ricerca sulla ritualità del suicidio e sulla ritualità di un corpo destinato a bruciare come terra sotto il sale che non si presenta, ma agisce in maniera drammaticamente teatrale. Anche per noi si poneva il problema di come esserci e non rappresentarci. Chiara­mente da questo spettacolo in poi anche il nostro lavoro di attore e di regia è note­volmente cambiato. Per la scrittura del testo di "La mia terra..." abbiamo seguito come modello "PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE" di Peter Handke, per quanto riguarda i movimenti e la messa in scena (non eravamo riusciti - detto con la visione del poi - ad eliminare certa fascinazione che alcuni gruppi di nuova danza avevano avuto su di noi ne il ricordo della nostra formazione teatrale) abbiamo optato per una rigida geometria assolutamente spigolosa.


NOTE DI CRITICA


«Questa è No man's land: La mia terra bruciata di sale. Piccolo Parallelo/Porto Atlantide è un luogo di coraggio e discrezione. Crea una drammaturgia di frecce avvelenate, che arrivano silenziose alla mia nuca. Si monta per frammenti sempli­ci, a volte fin troppo, ma tutti necessari e non ideologici. In tempi di grande smemoratezza politica, di perdita di memoria sociale, Piccolo Parallelo coglie un senso, attraverso il Teatro, anche se la ricerca estetica non è perfetta, legge righe lapida­rie del Grande Libro Tragico del Mondo. Mi piego alla domanda di cosa possa ser­vire questo spettacolo. Si disegna il geroglifico del punto interrogativo nell'insinuarsi sottile e impercettibile dell'ambiente fabbrica e di chi lo abita o lo abitava nel flusso dei pensieri e immagini di spettatore. Ho il tempo di chiedermi come possa essere riconsegnata al sociale questa piccola opera, se può riaprire il Teatro al mondo, all'etico e politico. Sono convinto che questo è un percorso, le penne non sono affilate, ma c'è inchiostro. Questo mi interessa, mi da disagio perché è strada di cocci aguzzi e piccoli dolori».
(Alessandro Tognon. Dal catalogo del Festival di Santarcangelo, 1986).






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