Il giardino delle arance
e degli angeli che piangono

Testo, scene, regia, luci e costumi: ENZO G. CECCHI
con Marco Zappalaglio: Matteo
Enzo Cecchi: Carlo
Musiche di Amalia Rodriguez e Bevinda

Segnalazione al 42° Premio Riccione A.T.E.R. per il Teatro – 1993
Premio di Produzione Riccione A.T.E.R. per il Teatro – 1994


Il giardino delle arance e degli angeli che piangono è una sorta di diario nel quale il passare del tempo è scandito dalla costruzione e distruzione di un giardino e dalle vicende dei due protagonisti, Carlo e Matteo. Lo spettacolo è scandito da tredici scene, una per mese, da marzo a marzo dell'anno successivo. La storia è molto semplice. Un viaggiatore di nome forse Carlo, arriva in un luogo con dei carteggi (testamento, mappa o altro), parla una lingua strana, una mescolanza di lingue dei paesi che ha visitato. E in questo luogo decide di fermarsi e di creare un giardino. Vicino a lui abita un muratore di nome, forse Matteo, forse Pietro, anche lui parla una lingua strana, una sorta di dialetto che ha perso la connotazione originale. In una cadenza d'eventi determinata dal fluire dei mesi, il rapporto tra lo straniero Carlo – deciso ad escludersi dalla vita e da ogni storia – e Matteo, uomo di terricola aderenza, si sviluppa con un particolare contrasto linguistico. Le vicende fra Carlo e Matteo sono scandite in tredici scene, da marzo a marzo dell'anno successivo e dalle evoluzioni e distruzione del giardino.

La giuria del PREMIO RICCIONE A.T.E.R
Il giardino delle arance e degli angeli che piangono è stato segnalato nel 1993 al Premio Riccione ATER per il Teatro. La giuria composta da Franco Quadri, Odoardo Bertani, Ettore Capriolo, Marisa fabbri, Maria Grazia Gregori, Mario Raimondo, Enzo Moscato, Luca Ronconi e Ugo Ronfani fra 251 testi pervenuti ha segnalato l'opera per la particolarità del testo e della vicenda con queste motivazioni: "In una cadenza d'eventi determinata dal fluira dei mesi, che dà alla vicenda un fascino legato alla natura e al suo trascolorare, il dialogo povero tra il rancoroso straniero Carlo – perseverante nella volontà di escludersi dalla vita e da ogni storia – e lo spontaneo Matteo, uomo di terricola aderenza, il dramma sviluppa in lenta progressione dolorosa e con saporoso contrasto linguistico il senso del rapporto impossibile a casa del negarsi altrui"






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